di Giancarlo Torroni.
Se si accetta l’idea che la cultura in generale, e la filosofia in particolare, siano beni irrinunciabili nella misura in cui svolgono il compito di risvegliare il senso critico, non c’è dubbio che le istituzioni occidentali, e in particolare le Università, da più di due anni a questa parte vi hanno deprecabilmente rinunciato. Per giunta, se è vero che la parte più originale e viva di tutta la tradizione culturale dell’Occidente consiste nella capacità di mettere continuamente in discussione i propri risultati, allora è giocoforza concludere che stiamo vivendo un periodo di preoccupante oscurantismo, nel quale alla scienza si sostituisce uno scientismo funzionale agli interessi del capitale finanziario e alla libera discussione l’autoritarismo propagandistico di ristretti centri di potere internazionale, ai quali il benessere delle popolazioni loro soggette importa tanto quanto l’interesse per i pidocchi e che ultimamente non si fanno scrupolo di portare il mondo sull’orlo di una guerra di proporzioni apocalittiche, nella quale quelle che fino a ieri erano considerate armi di distruzione di massa, vengono oggi ribattezzate dai circoli militari che contano “bombe umanitarie”1, benché abbiano un potere di distruzione triplo rispetto alle bombe che il comando statunitense, a guerra praticamente conclusa, sganciò su Hiroshima e Nagasaki.
L’ipocrisia delle classi dirigenti occidentali, e di quella sempre più ristretta cerchia di sprovveduti o interessati elettori che le sostengono, si rende insopportabile nel momento in cui celebrano la democrazia negandola, accampano a pretesto il rispetto delle regole e al tempo stesso infrangono i principi fondamentali della carta costituzionale, si appellano alla solidarietà mentre lavorano alacremente per dividere la popolazione servendosi in maniera spregiudicata delle armi della propaganda, facendo leva sulle paure e sui peggiori istinti di folle già spiritualmente devastate dall’inconsistenza della civiltà dei consumi e, ultimamente, dall’ingresso sempre più prepotente di istanze neoliberiste nella scuola pubblica. Sulla scuola, sia detto tra parentesi, ad uno svuotamento di contenuti, di quel “canone occidentale” che ha costituito fino a ieri il lascito spirituale della nostra migliore tradizione, corrisponde oggi l’ottusità aziendalistica dietro cui si intravede il progetto autoritario di distruggere un’identità millenaria per sostituirla con la miserabile ideologia del “capitale umano” e con il fraudolento invito alla “resilienza”, ovvero a un atteggiamento di passiva accettazione e premiale adeguamento all’esistente, in cui ogni volontà di trasformazione dei rapporti di produzione a vantaggio delle popolazioni sia definitivamente soppressa, così come ogni etica alternativa all’onnipotenza dei “mercati”.
Una delle innumerevoli prove di questa apparentemente inarrestabile decadenza dell’Occidente è fornita dal modo in cui filosofi di statura internazionale come Giorgio Agamben vengono redarguiti dai suoi colleghi italiani, che certo non possono vantare il suo curriculum ma si sentono tuttavia autorizzati a trattarlo come un imbecille. Agamben è forse l’unico pensatore in Italia che ha messo il
dito nella piaga nel modo più chiaro e diretto quando, riferendosi per esempio a quell’odioso strumento di discriminazione che in Italia, seguendo la sciocca moda di scimmiottare l’inglese, è stato chiamato “green pass”, e che alla prova dei fatti si è rivelato inutile se non addirittura controproducente2, si chiede se sia davvero libero un Paese che per decreto introduce simili costrizioni non avvalorate peraltro da alcuna seria evidenza scientifica, checché ne dicano le virostar televisive di supporto al governo3 ed ipotizza che l’obbligo del certificato verde non è stato introdotto, come hanno sostenuto alcuni politici, per indurre la gente a vaccinarsi ma, al contrario, il vaccino ha offerto il pretesto per introdurre il certificato verde come strumento di controllo nell’ottica di un radicale cambiamento di quella che Foucault chiamava “governamentalità”4.
L’esercizio del pensiero critico dovrebbe dunque almeno farci considerare seriamente la tesi che la pandemia abbia fornito l’occasione di introdurre pervasivi strumenti di controllo sulla popolazione tramite i quali diritti prima non negoziabili rischiano di diventare ora concessi, cioè di trasformare
la libertà in una libertà “autorizzata” che, in quanto può essere revocata in qualsiasi momento, non è
più libertà5. Il massimo a cui invece l’intellettualità nostrana riesce a spingersi, con una deplorevole arroganza e mancanza di gusto, è di liquidare le posizioni critiche come tesi “complottiste”, affidandosi ciecamente alla grande stampa finanziata e diretta da quelli che Giulietto Chiesa chiamava “i padroni universali” o dando credito a siti di presunti “sbufalatori” che non sarebbe difficile sbufalare a nostra volta, solo che si facesse più attenzione alle raffinate tecniche propagandistiche con cui offrono le loro perle ad un pubblico sempre più distratto e incattivito.
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1 Si veda dal minuto 14:30 in proposito l’intervista a Michel Chossudovsky, fondatore e direttore del Centro di Ricerca sulla Globalizzazione di Montreal, visiting professor in Europa occidentale, Asia sud occidentale, regione del Pacifico e America latina, reperibile sulla rubrica “Grandangolo” di Manlio di Nucci, al seguente link:
https://www.byoblu.com/2022/05/20/grandangolo-pangea-speciale-intervista-a-michel-chossudovsky-48-puntata/
2 Si veda in proposito l’audizione al Senato dell’ottobre 2021 del prof. Marco Cosentino
https://www.youtube.com/watch?v=mOYXjruMXg8
3 Si veda in proposito l’audizione in Senato del dicembre 2021. L’intervento di Agamben è il primo
https://www.youtube.com/watch?v=FUubz0Tfudg
4 Si veda in proposito l’intervento di Agamben in Senato https://www.youtube.com/watch?v=03Xm7ibYXMU
5 Si veda ancora l’intervento di Agamben del novembre 2021 dal minuto 2:00 https://www.youtube.com/watch?
v=u8fyzUVaBOA